QUESTO NON E' UN PAESE PER PICCOLI: OLTRE UN MILIONE DI BAMBINI IN POVERTA' ASSOLUTA IN ITALIA

Gio 21/07/2016

 

Secondo i dati forniti dal recente rapporto ISTAT e da 'Save the children Italia', a pagare il prezzo più alto della crisi economica sono bambini e adolescenti.
In Italia sono un milione e 131mila i bambini e gli adolescenti che vivono in povertà economica assoluta: quasi una famiglia italiana su dieci. I bambini che vivono in povertà relativa sono invece due milioni: uno su cinque. Un esercito silenzioso e ignorato dai diversi proclami dei politici. In 10 anni, dal 2006 al 2016, l'incidenza della povertà assoluta tra le famiglie con almeno un minore è triplicata, passando dal 2,8% all'8,4%.
A fornire questi dati è 'Save the children Italia', presentando la sesta edizione dell'Atlante dell'infanzia a rischio'.
Del milione di minori che vivono in povertà assoluta, circa 861.000 vivono in una famiglia dove c'é almeno un occupato: "questo significa che il reddito da lavoro, da solo, non garantisce l'accesso ai beni di prima necessità - spiega Christian Morabito, esperto di povertà educative Save the children - inoltre la povertà relativa, ovvero la soglia che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera, tocca poco meno di 2 milioni di minori (19%)". I minori sono maggiormente a rischio povertà rispetto agli adulti, con un 10% in più. Al Nord e al Centro la percentuale di bambini in povertà relativa è di poco inferiore al 15% (12,2% e 13,4%). Al Sud raggiunge quasi il 30%.

Ma come si calcola la soglia al di sotto della quale una famiglia è considerata in condizione di povertà assoluta, ossia non è in grado di garantire ai propri membri i beni, materiali e immateriali, di prima necessità? Il sistema di calcolo, messo online da ISTAT, incrocia diversi dati che concorrono a definire il tenore di vita di un nucleo familiare: numero dei componenti, età, zona di residenza. Per una famiglia che vive al nord ed ha due figli minori la soglia di povertà assoluta è di circa 1600 euro: questo significa che in una famiglia monoreddito le rinunce che ricadono sui figli minori sono di tipo sostanziale e toccano la salute, l'alimentazione e l'istruzione, a meno che i genitori non possano contare sull'aiuto dei nonni, che, come spesso accade, funzionano da welfare familiare.

La condizione di povertà che colpisce sempre più bambini in Italia si spiega con la crescente disoccupazione dovuta alla crisi economica ma anche con lo sbilanciamento del welfare pubblico che ha di fatto cancellato molti servizi per l'infanzia. La spesa sociale appare in larga misura destinata alle persone anziane: in un paese sempre più vecchio, i bambini hanno sempre meno voce in capitolo. Del resto non votano, non si possono fare sentire e vengono espropriati dei diritti basilari: alimentazione adeguata, formazione, cure e svago. Le mense scolastiche hanno un costo giornaliero che spesso non è sostenibile dai genitori, i libri per le scuole media e superiore per una famiglia in difficoltà costituiscono una spesa non affronabile, le spese mediche di tipo odontoiatrico e in genere specialistiche non possono essere sostenute, con ricadute significative sulla salute dei più piccoli. Le cure destinate al disagio psicologico restano poi appannaggio solo di quei pochi che possono sostenere i costi di un percorso di terapia. Tutti gli altri si devono accontentare di una diagnosi: come se i mali dell'anima non fossero questioni sostanziali. Ma povertà, secondo i parametri presi in considerazione da ISTAT, significa anche non poter fare una festa di compleanno, non disporre di spazio sufficiente per studiare, vivere in condizioni di deprivazione culturale, non avere mai letto un libro se non quelli scolastici: si tratta di un quadro composto da aspetti materiali e immateriali che insieme dovrebbero garantire condizioni di vita adeguate a ogni bambino. Di fronte alle difficoltà sempre crescenti per i genitori nel garantire benessere ai propri figli si assiste a una reazione avvertita come obbligata: si tende a fare un solo figlio per poter concentrare le risorse su di lui nella speranza di garantirgli qualche opportunità in più.  
In questo quadro il ruolo della Stato nel rimuovere le disuguaglianze, di ordine economico e sociale, che, come recita l'articolo 3 della Costituzione, limitano di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini e il pieno sviluppo della persona, sembra sempre più labile e meno incisivo per quanto riguarda i cittadini più piccoli di questo paese. Calo delle nascite e carenze nei servizi di sostegno all'infanzia e alla famiglia sono fattori strettamente intrecciati: non è un caso che in Germania, paese che ha conosciuto un vero e proprio boom demografico negli ultimi anni, il governo abbia deciso di destinare trecento euro al mese alle famiglie in cui entrambi i genitori decidano di ridurre le ore di lavoro per dedicare più tempo alla cura dei figli, nella consapevolezza che il tempo da dedicare ai figli e futuri cittadini non deve essere un lusso ma un diritto.
LdI

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