MEDIOEVO DI RITORNO: LA SVALUTAZIONE DELLA DONNA TRA ANGELO DEL FOCOLARE E PECCATRICE

Gio 08/03/2018

 

Ancora 80 anni, secondo l'ONU, per raggiungere la parità di genere riducendo quella forbice che separe uomini e donne e vede le seconde penalizzate su diversi fronti: nel mondo le donne guadagnano il 23% in meno degli uomini e "non esiste un solo paese nè un solo settore in cui abbiano gli stessi stipendi degli uomini" come afferma la  consigliera economica del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), Anuradha Seth.  Si tratterebbe "del più grande furto della storia", che appare però solo come la punta dell'iceberg di un fenomeno sommerso che, non essendo computabile entro tabelle  e traducibile in numeri, tende a non emergere e ad allargare silenziosamente  la sua base: una massa critica fatta di svalutazione del lavoro femminile, demansionamento delle lavoratrici dopo la maternità, mancata retribuzione del lavoro domestico e di cura, diffuse forme di ricatto e di abuso sui luoghi di lavoro e tra le mura domestiche.  

A rallentare il percorso verso un'effettiva parità agiscono stereotipi arcaici che permeano marcatamente la mentalità non solo di molti uomini, come denuncia Anne Marie Slaughter mettendo in luce  il fatto che molte donne non sono ancora disposte a condividere con i padri l'aspetto di cura dei figli e della casa, imbrigliate negli stessi pregiudizi che agiscono senza barriere di genere. 

In questo quadro,l'Italia detiene nel mondo occidentale due primati negativi, i cui dati si possono leggere facilmente nella loro stringente e dura correlazione: ad uno dei minori tassi di natalità fa da contraltare  uno dei tassi di occupoazione femminile più basso d'Europa: la maternità appare infatti come il maggiore ostacolo al lavoro femminile, all'interno di uno scenario che vede le carenze del welfare minare alla base le opportunità di molte donne di realizzarsi sul piano lavorativo. I dati resi noti dall'Ispettorato nazionale per il Lavoro denuciano da soli, senza bisogno di commenti, una situazione che vede le donne costrette a dover abbandonare il mercato del lavoro a causa della impossibilità di conciliare maternità e impegno lavorativo. Nel 2016 il 44% delle donne ha dato le dimissioni dal lavoro per tre ragioni: assenza di parenti di supporto, mancato accoglimento al nido ed elevata incidenza dei costi di assitenza al neonato. "Questo dimostra" osserva Paola Profeta, docente di Scienza delle Finanze alla Bocconi, "che le politiche degli ultimi anni non sono riuscite ad incidere su quel passaggio fondamentale della vita di una donna che  è il diventare madre."

Il sessismo che campeggia sui cartelloni delle città, dove le donne sono visibili ed esistono solo in funzione strumentale, solo per l'altro da sè,  come oggetti erotici o come angeli del focolare, massaie, casalinghe dedite all'accudimento della prole e del marito, secondo una dicotomia angelo-peccatrice che fa tanto medioevo di ritorno, o forse mai del tutto scalzato,  non è che il riflesso di una mentalità ancora radicata e che va affermandosi sempre di più trovando nutrimento sul terreno della crisi economica che, storicamente, impone un passo da gambero al faticoso cammino delle idee di uguaglianza.  Se il lavoro manca, a stare a casa devono essere le donne, lasciando spazio e posti ai colleghi maschi: e se le crisi, economiche e di idee, spostano storicamente l'opinione pubblica in direzione reazionaria, non stupiscono le affermazioni del leader dell'estrema destra studentesca bresciana secondo il quale, come riporta Grassani su L'Espresso, "la donna deve essere l'angelo del focolare. non è una costrizione, questo deve entrare nella testa delle donne: la donna deve tornare alla sua natura di fare figli e stare a casa."  

Mentre la storia e il diritto fanno passi avanti e  le idee  e il senso comune arrancano, non riescono a mantenere la stessa andatura e perdono terreno,  accade che l'emancipazione femminile, e il suo corollario fatto di  possibilità di dire di no e di lasciare un uomo, scateni reazioni arcaiche, violente, rivolte a cancellare dalla faccia della terra la possibilità che quella che viene avvertita come una proprietà possa sfuggire al proprio controllo: l'Italia è uno dei paesi europei dove il fenomeno del femminicidio è più accentuato. Un omicidio su tre è 'di genre', comprese le uccisioni commesse dalla criminalità organizzata. Ad uccidere le donne, ritenute colpevoli di non amare più,  sono in larga maggioranza il marito, l'ex marito o il compagno: secondo Anna Oliverio Ferraris, alla base dei femminicidi vi è l'arretratezza culturale di una società che vede il maschio come soggetto da porre al centro di cure e attenzioni, fin da bambino. La figura materna, ancora perno della vita domestica, viene ricercata in età adulta in ogni figura femminile e in questa ottica che assimila la compagna alla madre, un rifiuto appre intollerabile. 

Ancora collocata tra i due modelli di moglie-madre o peccatrice, la donna che si rifiuta scivola immediatamente nell'immaginario dal primo al secondo modello e per questo viene colpita. Una possibilità di liberare maschi e femmine dalle maglie violente di questi stereotipi sta nell'educazione del bambino, nei primi decisivi anni che formano ciò che diventerà: per un otto marzo futuro di maggiore uguaglianza, si può inziare educando i bambini a una maggiore autonomia rispetto alla figura materna.

 

 

 

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