"GENERAZIONE USA E GETTA": GALIMBERTI E I GIOVANI

Gio 29/06/2017

 

 

Il filosofo Umberto Galimberti, ospite del Festival della Parola, organizzato dall'associazione culturale Rinascimento 2.0 con il contributo del Comune ed il patrocinio dell'associazione "Parma, io ci sto!", parte da parole semplici come 'scopo' e 'felicità' per svelarne l'intimo nesso ed il peso che giocano nell'esperienza di quella che viene definita genrazione 'usa e getta' a causa della apparente mancanza di prospettive che la contradditingue: "i greci avevano due modi per indicare il 'guardare': orao che indica uno sguardo contemplativo e non finalizzato, da cui deriva la parola 'panorama' e skopeo che indica invece uno sguardo focalizzato verso un obiettivo, uno scopo appunto, che si colloca sull'orizzonte del futuro e determina le nostre azioni. Ai giovani oggi manca questo, uno scopo verso cui dirigersi, perchè la promessa di futuro, che a noi era garantita, per loro assume i tratti di una minaccia."

Se il mondo del lavoro appare come un terreno instabile fatto di contratti precari, a tempo sempre più determianto, co.co. co. e a progetto, a che fine un giovane può sentire di doversi impegnare?

"Il fatto che i ragazzi facciano ricorso ad alcool, droghe o che inverta vita notturna e diurna non può stupire: sono tutti anestetici con i quali cercare di non sentire la propria insignificanza sociale". 

A dialogare con il filosofo, guidati da Anna Maria Ferrari, giornalista della Gazzetta di Parma, sono presenti, nello scenario della Pergola della Corale Verdi, Andrea Pontremoli amministratore delegato di Dallara automobili, e di Giorgio Triani, sociologo dell'Università di Parma: il tentativo è quello, come viene sintetizzato dalla giornalista  Ferrari, di trovare un modo nuovo per dire e quindi comprendere questa generazione, tra i 16 ed i 30 anni,  le cui movenze e motivazioni suscitano spesso allarme e sconcerto negli adulti. 

Parole al centro della discussione sono 'scopo', 'desiderio', 'motivazione', 'felicità' e 'futuro': se questo ultimo sembra essersi eclissato allo sguardo di ragazzi orfani di uno scopo da perseguire, il suggerimento che viene dal filosofo punta ad un ritorno al passato che, solo apparentemente in modo paradossale, rappresenta un rinnovamento rispetto a i due millenni che abbiamo alle spalle: tornare alla lezione dei greci, all'indicazione aristotelica in base alla "lo scopo autentico della vita dell'uomo è la ricerca della felicità." Perché, prosegue Galimberti, "questo avvertimento non lo hanno inventato per primi gli americani, ma viene a noi direttemente da Aristotele.

I greci per indicare la felicità usavano la parola eudaimonia: significava 'avere un buon demone' ed essendo il daimon quello che per i crisitiani sarà la vocazione, essere felici corrisponde per i greci alla piena realizzazione del proprio sé più autentico. Trovare il proprio demone e ascoltarlo: questo è il percorso verso la felicità, oggi reso ostico dall'eclissarsi di futuro."

Un filosofo familiare, il proprio nonno,  ricco di saggezza, è quello che ha consentito ad Andrea Pontremoli, da bambino, di trovare e assecondare le proprie inclinazioni, concedendo loro tempo e attenzione, in una modalità che contrasta con la vocazione alla velocità che segna il nostro tempo: "quando da bambino desideravo una cosa che non c'era, il mio nonno-filosofo stava al mio fianco, la immaginavamo insieme e poi la costruivamo. Era un'esperienza molto forte quella di vedere il prodursi di qualcosa che prima, semplicemente, non esisteva." Un altro importante messaggio ricevuto da questa figura è legato all'idea di condivisione come arricchimento reciproco: "Se due persone si incontrano e si scambiano mille lire - mi raccontava - entrambe tornano a casa con mille lire in tasca. Ma se due persone si incontrano e si scambiano due idee, ciascuno torna a casa con un'idea in più". 

Capacità di immaginare un futuro, tempo e impegno per perseguire uno scopo, condivisione: sono questi gli elementi che hanno permesso a Pontremoli di raggiungere importanti obiettivi, non solo per se stesso, nell'ottica che 'ciò che si è guadagnato vada in qualche modo restituito". E così, se nella sua comunità di origine, Bardi, la scuola era a rischio chiusura, l'ingegnere ha immaginato un modello diverso e innovativo di istruzione, basato su mini-classi entro le quali i docenti sono affiancati da un tutor dedicato ai ragazzi e ai loro bisogni specifici, sul modello dei college inglesi. "Abbiamo applicato questo modello a Bardi e in questo modo la scuola non ha chiuso: le mie cinque figlie hanno potuto studiare lì e i risultati sono stati molto soddisfacenti."

Uno sgurado ottimistico ai giovani viene dal sociologo Giorgio Triani, esperto di comunicazione e uso dei social media: "se è verissimo che oggi viviamo, più che in una fine epoca, in una fine era, dato che le trasformazioni viaggiano a velocità estrema, dobbiamo riconoscere che i giovani sono bravi a seguire questa rivoluzione permanente. 

Chi appare frastornata è la generazione dei 50-60enni: il loro linguaggio sui social è ricco di aggressività, violenza e piaggeria. Mentre gli adulti danno il peggio di sè su Facebook, i giovani sono già scppati e navigano su altri Social."

 

 

 

 

 

 

  • Attualità
  • Parma magazine
  • Psicologia