GIOVANNI MARGARONE: LO SCRITTORE CHE PROMUOVE L’UMILTÀ E IL RISPETTO VERSO I LETTORI

Gio 05/03/2020

Di Francesca Ghezzani

 

Un uomo di cultura a 360 gradi, appassionato di lettura, musica, filosofia e assiduo scrittore, con una penna che amo definire “inesauribile”. Sto parlando di Giovanni Margarone, nato ad Alessandria nel 1965, fino a 21 ligure di adozione e poi trasferitosi in Friuli.

Giovanni nasci in un posto, poi vivi fino all’età di ragazzo in un altro e, alla fine, ti sposti in un terzo luogo. Cosa porti dentro te di queste esperienze e quanto arricchiscono o, almeno, influenzano il tuo scrivere?

Sono contento di non essere nato e vissuto nello stesso luogo, perché sono convinto che muoversi arricchisca e favorisca una visione pluralista del mondo in cui viviamo. E ciò si verifica quando entriamo in contatto con altre culture (viaggiando o semplicemente rapportandoci con persone provenienti da altri luoghi, ovvero facendo letture diversificate, per esempio). Tornando ai miei luoghi, faccio riferimento alla Liguria in cui sono cresciuto, dove ho studiato e mi sono formato; dopo c’è il Friuli, dove sono maturato e ho vissuto importanti esperienze di vita, sia sul piano culturale, sia sul piano sociale. È ineluttabile che l’esperienza personale influisca nell’opera di uno scrittore. La massima espressione di ciò è il romanzo autobiografico, in cui l’autore parla di sé, inviando messaggi esclusivi, essendo il protagonista della sua storia. Per quanto mi riguarda, non ho intenzione di scrivere autobiografico, preferisco narrare storie inventate, basate comunque su spunti reali, tra i quali possono esserci anche idee provenienti dalla mia esperienza di vita.

Ci racconti qualcosa dei tuoi libri pubblicati fino a oggi?

Finora la mia narrativa è stata di formazione. Narro storie di uomini e donne, cercando di fornire un quadro complessivo delle loro esistenze che sono a corollario delle loro vicende. Il punto fondamentale a cui tengo molto in generale è la pluralità e l’imprevedibilità dei fatti, delle situazioni, dei contesti, in quanto la vita di ognuno di noi non è programmata; l’imprevisto, gradito o sgradito che sia, è sempre dietro l’angolo. È il destino, la causalità, lo si chiami come si vuole. La nostra esistenza è il risultato di una miriade di fattori, la sua complessità ha fatto dannare da sempre filosofi, scienziati, letterati. Le religioni hanno cercato di fornire risposte, affermando che la vita è volontà di un Dio a cui tutti siamo soggiogati e questo è seguito dai credenti, ma non tutti credono. Insomma, l’uomo è difficile; per questo è affascinante la sua storia, ciò che è riuscito a realizzare in tutti i campi, la sua vita: sia questa di uomo o donna qualunque, sia questa di un personaggio famoso. E, parlando da autore, è bellissimo provare a raccontare tale fascino: questo è un fattore comune di tutto ciò che scrivo. Quindi ciò lo troveremo in Note fragili, ne Le ombre delle verità svelate, in E ascoltai solo me stesso e in Quella notte senza luna, che uscirà penso quest’anno, in autunno e negli altri tre romanzi ancora inediti che ho nel cassetto.

Potresti descrivere ciascuno di loro con un aggettivo?

Note fragili è vorticoso, Le ombre delle verità svelate è coinvolgente, E ascoltai solo me stesso è educativo.

E dei tuoi personaggi principali cosa ci dici? Troviamo delle analogie tra loro o cambiano profondamente in ogni opera?

Sono variegati, come variegata, appunto, è la natura umana. Non ci sono particolari analogie tra loro. Caratterizzare allo stesso modo i personaggi, secondo me, appiattisce e non incuriosisce il lettore. A me piace cambiare, la diversità è un punto di forza del nostro essere.

Passiamo al mondo editoriale: tu collabori anche ad un blog per redazionali e recensioni, come è porsi dall’altra parte?

Vedere un contesto da altre prospettive arricchisce, quindi porsi dalla parte di chi valuta e critica certamente favorisce l’esame verso noi stessi, quindi verso me stesso in questo caso. Uno scrittore, dovendo recensire le opere altrui, a mio modesto parere diventa più autocritico e riesce così a individuare meglio i propri difetti e quindi a correggersi. L’egocentrismo e la superbia non devono esistere in un autore; io credo nell’umiltà e penso che accettare le critiche degli altri aiuti a crescere e a migliorarsi, sempre che siano critiche che non travalichino i limiti del dibattito civile e dell’educazione.

Quali aspetti, in base alla tua esperienza, non funzionano nel sistema editoriale italiano?

Questo è un grande tema. Il mondo editoriale italiano è complesso e mi limito a considerare solo quello letterario che conosco meglio. Da una parte abbiamo un’editoria di tipo industriale: i grandi gruppi editoriali, non faccio nomi, il cui modo di selezionare gli autori non è noto (sebbene talvolta s’intuisca), che in generale sono molto restii ad accettare nuove proposte e preferiscono lanciare opere di autori noti grazie ai quali possono avere profitti assicurati. Su questa logica di mercato non ho obiezioni, ma la cultura non è un mercato, questo è il punto. Dall’altra parte abbiamo le medie e piccole case editrici indipendenti, grazie alle quali c’è più possibilità, per un emergente, di farsi pubblicare. Attenzione però all’editoria a pagamento dichiarata e non.

Io credo che case editrici serie ce ne siano tante: quelle che curano gli autori, senza contributi ovviamente o altri espedienti perché si accollano quel rischio d’impresa che eticamente devono accettare, che li lanciano e li promuovono; tuttavia un autore che intende farsi pubblicare deve essere paziente e accettare anche le porte in faccia. Io sono convinto che un autore, se ha del talento, prima o poi riesca a emergere. Tuttavia bisogna mettere in conto tanti fattori: che non è l’unico autore sulla piazza; che leggere, specialmente in Italia, è sempre più cosa rara; che ci sono tante insidie tenendo presente che sugli emergenti c’è un business non indifferente, composto troppo spesso da venditori di fumo.

Tornando alle case editrici, sarebbe opportuno un intervento a livello governativo con la istituzione di un Garante dell’etica dell’editoria, che vigili sull’operato degli editori, individuando quelli che non attuano la buona pratica editoriale, magari stabilendo delle regole alle quali attenersi. Io credo che con un intervento del genere, taluni editori poco seri avrebbero difficoltà a restare a galla.

 

Parliamo, infine, di oneri e onori… quali trovi che ti appartengano nella tua carriera di scrittore?

Entrambi. Ogni attività è una medaglia con le sue due facce e il campo artistico non ne è scevro.

Onere può equivalere a responsabilità: quella di ciò che si scrive. Le parole sono pietre, diceva Camilleri. Sulle parole si potrebbe scrivere all’infinito. Un romanzo è comunicazione e il destinatario di esso, il lettore, deve essere soddisfatto delle sue aspettative. Mi spiego: se si scrive un giallo, l’autore pretenderà un buon giallo. Se si scrive narrativa non di genere, come la mia, il lettore pretende una buona narrativa. Scrivere bene è difficile, deludere un lettore è un’insidia che è sempre dietro l’angolo. Per questo dico che l’onere della responsabilità di ciò che scrivo me lo sento addosso, ogni volta che metto nero su bianco le mie idee.

Onori: bisogna guadagnarseli. Io l’anno scorso ho vinto tredici premi e mi sono sentito onorato di questi riconoscimenti, perché oltre a premiare i miei romanzi, premiavano la mia fatica che si è sempre esplicitata nello sforzarmi di scrivere qualcosa che potesse piacere, che avesse significato, che promanasse messaggi. È la passione di scrivere che mi ha sempre sorretto, anche nei momenti più bui. Credere in qualcosa per me è importante e se un lettore mi dice il tuo libro mi è piaciuto, per me questo è un onore.

 

Sono i lettori i destinatari di ciò che si scrive e a loro va il massimo rispetto, sempre.