TENERE O BUTTARE, QUESTO IL DILEMMA

Sab 10/10/2015

Se esitate a cimentarvi nello stagionale lavoro di cambio degli armadi, con tanto di “selezione naturale” tra ciò da tenere o da buttare, e la bilancia propende decisamente verso la prima voce, chiedetevi se la ragione sia la vostra abile oculatezza o piuttosto una tendenza all’accumulo.

Stimolati ad acquistare sempre nuovi oggetti per saziare poliedrici bisogni e desideri, corriamo talvolta il rischio di trovarci con qualche chilo di troppo, per fare uno scontato parallelismo con il cibo. Uno studio inglese ha recentemente appurato che in un appartamento di medie dimensioni si trovano circa 2260 oggetti, molti dei quali riposti in armadi da anni e destinati a non essere mai più utilizzati.

Nel 2013 è stato ufficialmente riconosciuto, con il nome di Hoarding Disorder, il disturbo ossessivo compulsivo della personalità caratterizzato dalla difficoltà di buttare le cose spinti dal bisogno di salvarle dall’oblio. Ovviamente quello di serbare ricordi cari che evochino emozioni trascorse o ci tengano legati a persone o momenti della nostra vita è assolutamente normale, ma pare che superare la linea di demarcazione tra quest’impulso salutare e il tratto patologico dell’accumulo sia assai pericoloso, arrivando addirittura a rendere difficile la vita quotidiana.

Il fenomeno, fino ad ora sottostimato, riguarda tra il 2 e il tre per cento della popolazione. Oltre alla psicologia se ne sono accorti anche media e letteratura, che cavalcano l’onda con esiti di successo. James Wallman ha dedicato al tema un libro dal titolo “Stuffocation: living more with less”, da stuff, ruba e suffocation, che dà l’idea di quanto gli oggetti che tanto agogniamo come una chiave di felicita in realtà possano sommergerci se sfuggono al nostro controllo. Secondo Wallman si tratta di un problema strettamente connesso alla società occidentale, così come l’obesità causata da eccesso di cibo.

 

Anche in Italia piace la serie tv “Sepolti in casa”, su Real Time: storie di autentica sofferenza. C’è chi accumula

 giornali e riviste, ritagliandosi appena la nicchia per il letto, sul quale incombe una catasta di indispensabile carta. Chi stipa armadi, solai e cantine con vestiti che non userà mai e ormai in condizioni tali da essere poco fruibili anche come stracci per la polvere.

Ovviamente i livelli sono un’ampia gamma con ripercussioni che variano dal rendere la vita difficile all’incompatibilità con la stessa, saturando totalmente gli spazi. Ma gli accumulatori sono dei sentimentali? Pare che alla base ci sia qualcosa di più, un problema forse legato al processo di elaborazione delle informazioni che porta a decidere cosa tenere e cosa buttare o ad eventi traumatici, magari dovuti a fasi di rigide ristrettezze.

James Wallman sostiene che l’Occidente stia annegando negli oggetti non necessari e consiglia un ritorno all’immateriale. La sua risposta è “sperimentalismo”, cioè suggerisce di puntare ad avere belle esperienze anziché ad ammucchiare roba.

Sostanzialmente, che già di per sé è una parola chiave, le esperienze ci fanno più felici, sono esclusivamente nostre, sfuggono alle leggi della globalizzazione, e ci regalano emozioni rinnovabili nel tempo grazie ai ricordi. Magari serbandone qualche foto, il biglietto aereo, il tagliando del tram, lo scontrino del ristorante…

 

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