L'AGENDA RITROVATA DI PAOLO BORSELLINO FA TAPPA A PARMA

Mar 27/06/2017

 

 

L'agenda rossa di Paolo Borsellino, dalla quale il magistrato non si separava mai, scomparsa misteriosamente dopo l'attentato di via D'Amelio nel quale Borsellino e cinque uomini della scorta persero la vita, è arrivata ieri a Parma grazie ad una ciclo-staffetta il cui senso è quello di restituire voce ai parenti delle vittime di mafia perchè non vengano dimenticati i tanti morti causati da quella che Salvo Taranto, moderatore dell'incontro tenutosi presso la Corale Verdi, ha definito come  "una vera e propria guerra, con vittime collaterali anche tra i civili". 

Testimoni di questa ferma volontà di raccontare per non dimenticare sono Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso dalla mafia, e Margherita Testa che aveva solo dieci anni quando perse madre e due fratellini di sei anni nella strage di Pizzollungo che aveva come obiettivo l'uccisione del magistrato Carlo Palermo, uscito illeso dall'attentato. 

L'incontro, che apre il Festival della Parola, organizzato dall'associazione "Rinascimento 2.0" con il patrocinio del Comune, prende le mosse dall'arrivo dell'Agenda Ritrovata, oggetto simbolo di ogni verità negata che raccoglie, lungo il suo percorso da nord a sud della penisola, le firme dei tanti cittadini che vogliono fare sentire la loro voce contro ogni mafia. Il percorso si snoda in bicicletta perché, come osserva il fratello del magistrato, 'la ricerca della verità è una strada difficile, che può essere tortuosa e faticosa, non risparmiando salite e terreni accidentati, ma resta una strada che bisogna percorrere."

Salvatore Borsellino apre l'incontro ricordando quel 19 luglio del 1992, giorno della strage: "mio fratello proprio quella mattina aveva iniziato a scrivere una lettera ad i giovani di una scuola. Paolo sapeva che la mafia lo avrebbe ucciso, sapeva di avere a disposizione ancora pochi giorni per vivere, sapeva addirittura che era arrivato a Palermo il carico di esplosivo destinato ad ucciderlo: nonostante questo, Paolo scrive ai ragazzi di essere ottimista, poichè vede in loro maggiore attenzione al fenomeno mafie di quanta ne potesse scorgere, retrospettivamente, in se stesso da giovane." La rievocazione di questo frangente non appare fine a se stessa: Salvatore, testimone della violenza della mafia e vittima indiretta, avverte del fatto che "il diritto alla parola è tale solo se continuiamo a sperare: se smettiamo di sperare allora perdiamo questo prezioso diritto. Paolo, neppure nel momento in cui è consapevole di dover morire, ha mai perso l'ottimismo che guidava le sue scelte." Quello che viene delineato non il contorno della figura di un eroe ma quello di una persona capace di compiere il proprio dovere, anche a discapito della propria persona: "questo paese non ha bisogno di eroi, ma di uomini e donne che credano nella possbilità di cambiare le cose." E il racconto procede con alcuni dettagli che sono in grado di restituire la tensione vissuta dal magistrato, i piccoli riti scaramantici per scongiurare la minaccia o per auspicare un ritorno incolume alla propria casa, alla madre, al nido: "Paolo era solito fare dei piccoli disegni stilizzati dei quali noi conoscevamo il significato. Uno in particolare mi aveva colpito: una freccia diretta verso un piccolo cerchio. Quando gliene chiesi il senso mi rispose che faceva quel piccolo disegno prima di andare a trovare nostra madre: lui era la freccia mentre il cerchio era il nido, nostra madre. Il giorno in cui fu ucciso Paolo stava facendo ritorno al nido: ma lo hanno ucciso. Io in qualche modo credo nei segni: quando i ragazzi dell'associazione L'ora blu mi hanno contattato per propormi la loro idea della staffetta dell'Agenda Ritrovata, sono subito rimasto colpito dal simbolo della loro associazione: una freccia che punta a un piccolo cerchio, e non ho avuto nessun dubbio: il segno era chiaro."

Salvatore Borsellino non vuole però suscitare alcuna commozione perchè, come dice, 'le lacrime non servono a nulla, serve invece la rabbia". La rabbia che dovrebbe spingere a reagire anche i cittadini del nord, dove la mafia si è capillarmente radicata: quello che deve essere denunciato, ad alta voce, è "il compromesso morale, l'indifferenza, la contiguità di chi con la mafia fa affari, il sistema di corruzione dei fallimenti fraudolenti e delle gare al massimo ribasso: tutto questo miete vittime, minaccia e distrugge esistenze che non saranno restituite."

Vittime civili, vittime collaterali sono state la madre e i due fratellini di Margherita Asta, che ai tempi della strage di Pizzolungo era una bambina, unica superstite - il padre morirà lo stesso anno per un attacco cardiaco - della violenza mafiosa.  Margherita è una giovane donna forte che ha voluto e ha saputo trasformare il proprio dolore in impegno per una società migliore, insieme all'associazione antimafia Libera. La sua denuncia è netta e lucida: "per la strage di Pizzolungo è stato usato lo stesso micidiale esplosivo militare, il samtex,  usato per via D'Amelio e per il rapido 904 colpito nel 1984, attentato nel quale hanno perso la vita anche due cittadini di Parma: anche la loro morte non deve essere dimenticata. Dobbiamo pretendere che queste stragi non restino senza mandanti e senza esecutori, dobbiamo pretendere che venga scritta la vera storia di questo paese.  All'età di dieci anni ho perso la mia famiglia e non ho una verità: gli esecutori materiali sono stati assolti in cassazione dal giudice  Carnevale. Ma qualcuno ha schiacciato il pulsante dell'esplosivo, indifferente al fatto che avrebbe ucciso persone che non c'entravano nulla. La mafia non guarda in faccia nessuno e quindi ci riguarda tutti, indistintamente".

 

 

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