Invalsi: il futuro dei bambini ridotto a soldi, acquisti e guadagno

Sab 12/05/2018

 

 

Il futuro come orizzonte libero, aperto, ricco di potenzialità, orizzonte che il bambino può sognare e immaginare spaziando con la fantasia tra diversi scenari possibili, si riduce a una strettoia fredda nella domanda numero dieci del “Questionario degli studenti allegato alla prova Invalsi di Italiano a cui i bambini delle classi quinte della scuola primaria hanno dovuto rispondere:

“Pensando al tuo futuro, quanto pensi che siano vere queste frasi? A. Raggiungerò il titolo di studio che voglio – B. Avrò sempre abbastanza soldi per vivere – C. Nella vita riuscirò a fare ciò che desidero – D. Riuscirò a comprare le cose che voglio – E. Troverò un buon lavoro”

Le domande, alle quali i bambini potevano rispondere scegliendo tra sei possibili risposte (per niente, pochissimo, poco, abbastanza, molto, totalmente) sono state fotografate e divulgate sui social da alcuni maestri ed hanno suscitato accese reazioni tra insegnanti e genitori i quali hanno espresso la propria perplessità e le proprie critiche attraverso un dibattito vivace. Rossella Latempa, ricercatrice e insegnante di matematica, domanda, dal suo profilo Facebook, “che ci spieghino il senso di queste domande a bambini dai 6 ai 10 anni”. E la polemica dilaga.

“E' giusto che i ragazzi vivano, nei primi anni della loro vita, ignorando che cos'è il denaro” avvertiva Natalia Ginzburg ne “Le piccole virtù”, breve, acuto e limpidissimo saggio sull'educazione dei figli, scritto nel 1960. Non sembrano d'accordo con questa idea gli esperti che hanno stilato il quesito: in anni che vedono sempre più restringersi il territorio dell'infanzia, preso d'assedio da un mercato che traveste i bambini da adulti in miniatura (ai quali è richiesto di essere capaci, il prima possibile, di scegliere ciò che desiderano in modo da orientare e decidere i consumi dei genitori), non stupisce che anche un quesito Invalsi rifletta questa distorsione di visuale.

“Avrò sempre abbastanza soldi per vivere? Troverò un buon lavoro?”: sono domande alle quali, oggi, molti trentenni e quarantenni, con lavori precari, farebbero fatica a rispondere. Ma si pretende che possano rispondere i bambini della scuola primaria: incongruenza e schizofrenia di una società che mantiene tanti giovani in condizioni di eterno precariato, impedendogli, di fatto, di costruirsi un futuro, e di accedere all'età adulta e ai suoi riti di passaggio, e trasforma, nello stesso tempo, i bambini in piccoli adulti in grado di scegliere, comprare, consumare e, magari, iniziare presto a ragionare su una domanda, a quanto pare cruciale per definire la qualità della nostra prospettiva futura: “riuscirò a comprare le cose che voglio?”. E la luce livida del quesito si spande su quello che segue: “troverò un buon lavoro?”. Buono per cosa? Per chi? In caso di dubbio, vedi sopra: buono per poterti permettere di comprare cose.

Nessuna traccia dei sogni che dovrebbero colorare l'infanzia, nemmeno l'ombra dello slancio immaginativo che da bambino ti porta a costruire un'idea della tua vita 'da grande': veterinaria o ballerina, medico o cuoco, calciatore o astronauta, giudice o astronoma. No: lo scenario futuro, questo le domande suggeriscono ai bambini, sarà deciso da fatti precisi, da obiettivi chiari rispetto ai quali sarà misurato il tuo successo o il tuo insuccesso: otterrai il titolo di studio che desideri? - come se a dieci anni si sapesse anche soltanto quali sono i titoli di studio - Guadagnerai abbastanza per vivere? - pretendendo che un decenne sappia cosa significa guadagnarsi il necessario per vivere – e avanti così, proiettando sull'infanzia lo sguardo di adulti spaventati, fragili e poveri (di spirito e speranza).
Andrebbe forse riletto Aristotele per recuperare l'idea che lo scopo autentico della vita dell'uomo (e del bambino!) è la ricerca della felicità. Felicità che nasce dal riconoscere il proprio sé più profondo, la propria vocazione, e dal lasciargli spazio, dandogli voce e aria e respiro: e questa idea di felicità non si misura con gli euro o con le cose che gli euro mi permetteranno di comprare. Si costruisce, lentamente, diventando chi si è.

 

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