ESSERE PADRE: DAI COMANDI ALLE REGOLE

Sab 19/03/2016

 “Tu eri avvolto per me dall'enigma di tutti i tiranni, il cui diritto è fondato sulla loro persona e non sul pensiero.” Così si esprime Kafka nella "Lettera al padre", mai arrivata a destinazione, nella quale è descritta in modo esemplare la sensazione di terrore e inadeguatezza suscitata dalla figura paterna nel figlio negli anni cruciali della formazione. Il padre appare per Franz come 'misura di tutte le cose': “tu eri un vero Kafka in quanto a forza, salute, appetito, potenza di voce, capacità oratoria, autosufficienza, senso di superiorità, tenacia, presenza di spirito, conoscenza degli uomini e per una certa generosità”. La figura del padre-padrone, incarnazione della legge, detentore di ogni autorità verso i membri della famiglia e porta di accesso al mondo ha lasciato il posto negli ultimi anni, grazie alla trasformazione del ruolo della donna, a una figura di padre che è più refrattaria a una rigida definizione e che trova il suo spazio nel raggio che va dalla antica figura autoritaria -sul viale del tramonto assieme al patriarcato- alle moderne immagini di padre-pelouche affettivo ma incapace di svolgere il proprio ruolo coniugando regole e amore. E' in questo spazio che deve venirsi a definire in modo nuovo la funzione paterna, essenziale per la crescita del bambino.

Il fenomeno storico del tramonto della società patriarcale viene a creare, per lo psicoanalista Luigi Zoja, uno spazio psichico vuoto che può prestarsi al riemergere di istanze irrazionali di tipo aggressivo: 'quando crolla il padre, quello che lo soppianta non è necessariamente una psicologia più femminile. Riemergono piuttosto dall’inconscio collettivo identità maschili più primitive. Nei casi estremi, ricompaiono – come nelle antiche razzie – gli stupri di gruppo, i cui componenti praticamente non avvertono di essere criminali. Dai valori del padre non si passa tanto a quelli della madre, quanto a quelli del maschio competitivo: l’animale, che combatte per l’accoppiamento, mentre non è cosciente della responsabilità verso i figli”. (L.Zoja, Centauri. Mito e violenza maschili, 2013). Figura rovesciata rispetto al padre che lotta per la femmina ma non si cura dei figli, troviamo la figura che rinuncia alla forza: l'approdo alla figura del padre-amico, incapace di dare regole ma rivolto unicamente ad assecondare i desideri dei figli creando per loro le condizioni di vita migliori, sembra rappresentare, nella analisi del pedagogista Daniele Novara, fondatore del Centro psicopedagogico per la pace e la  gestione dei conflitti (CPPP, Piacenza), la volontà di riscattare questa generazione di bambini da una storia di millenni di vessazioni.

Secondo Novara è necessario uscire dalla cultura pedagogica arcaica dei comandi, antico substrato del padre-padrone, passando a una cultura delle regole che servono a organizzare in modo chiaro la vita familiare: se durante l'infanzia le regole sono decise dai genitori, in adolescenza devono essere negoziate con i figli. Il ruolo paterno diventa fondamentale in adolescenza: secondo Novara il suo compito è quello di fornire regole e indicazioni adatte all'incoraggiamento verso la vita così come quello di fornire un allenamento al coraggio come sentimento fondamentale per la crescita e l'esposizione al mondo.

Nel libro 'Urlare non serve a nulla' Novara osserva che durante l'adolescenza è necessario che il baricentro del peso educativo si sposti sul padre: la madre deve fare un passo indietro mentre il padre deve assumere pienamente la funzione regolativa nella gestione dei conflitti rispetto alle questioni degli orari, degli impegni, delle responsabilità, della gestione del denaro. Il padre non deve quindi fare l'amico perché quello di cui hanno bisogno i ragazzi per crescere è trovare un limite, un argine che da un lato li contenga e nello stesso tempo permetta loro di trovare la forza e il coraggio per tuffarsi in mare aperto.  
LdI

 

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